In queste ultime ore si fa un gran parlare di FaceApp, l'applicazione che permette di trasformare una foto del nostro viso portandoci avanti nel tempo, vedendo come saremo tra 10, 20, 40 anni, oppure vedendo quale aspetto avremo se fossimo dell'altro sesso.

Insomma, un giochino interessante e divertente. Per fare ciò, FaceApp utilizza degli algoritmi proprietari molto potenti, con funzioni che vengono definite in qualche modo di intelligenza artificiale.

Ma perché ora tutto questo "rumore" su FaceApp?

Se leggete su Twitter, vedrete come la polemica (quasi uno "scandalo") fa riferimento alla Privacy, ovvero all'utilizzo che FaceApp fa delle nostre voto.

Ma andiamo con ordine. Tutto è iniziato il 15 Luglio alle 11 di sera, a Danville, Virginia (USA). Un certo Joshua Nozzi, programmatore di mestiere e - a quanto si legge nel suo LinkedIn e sul suo Blog - decisamente preparato, lancia questo Tweet:

Il tweet originale di Nozzi, ora non più visibile su Twitter ma solo sul suo blog

In pratica sostiene che l'applicazione carica tutte le foto presenti nel telefonino sui propri server, senza chiedere alcuna autorizzazione all'utente.

Una cosa del genere, se vera, sarebbe certamente molto grave. Ma vediamo cosa succede: la mattina seguente, il tweet di Nozzi viene ripreso prima dalla famosa rivista online 9to5mac e poi da TechCruch. Il giorno dopo tocca a Forbes.

In sostanza, la storia "delle foto rubate da FaceApp" diventa virale in poche ore, ripresa dai media più importanti, senza che nessuno avesse verificato.... su questo traete voi le conclusioni.

Tant'è che dopo poco, lo stesso Nozzi scrive:

"First let me say this: I was wrong. I was wrong about what I thought the app was doing (uploading all pics once granted access), and I was wrong to have posted the accusation without testing it first. Full stop."

Nozzi si è sbagliato. Punto. Ma oramai la copertura mediatica si è innescata, così la polemica passa su altro fronte, quella della Privacy.

Questa è la sintesi della tesi (sostenuta anche da molti media italiani):

Le foto che carichiamo su FaceApp non sappiamo esattamente dove vanno e che uso ne faranno

Tutti riportano poi come "trofeo" a sostegno di questa tesi, le condizioni contrattuali presenti sull'App, le così dette Terms & Conditions:

You grant FaceApp a perpetual, irrevocable, nonexclusive, royalty-free, worldwide, fully-paid, transferable sub-licensable license to use, reproduce, modify, adapt, publish, translate, create derivative works from, distribute, publicly perform and display your User Content and any name, username or likeness provided in connection with your User Content in all media formats and channels now known or later developed, without compensation to you. When you post or otherwise share User Content on or through our Services, you understand that your User Content and any associated information (such as your [username], location or profile photo) will be visible to the public.

Questo "pippone" significa in sostanza che FaceApp può fare delle nostre foto ciò che vuole.

Io mi domando: ma dove è il problema? Perché tanto rumore? Perché "scandalizzarsi" per una cosa del genere? Perché proprio ora?

Queste condizioni non sono molto diverse da decine, centinaia di altre app. Qualcuno ha mai letto le condizioni di Snapchat? Eccole:

Per tutti i contenuti che invii ai Servizi che non siano Contenuti Pubblici, accordi a Snap Inc. e alle nostre consociate una licenza valida a livello mondiale, gratuita, concedibile in sublicenza e trasferibile, ad ospitare, archiviare, utilizzare, visualizzare, riprodurre, modificare, adattare, editare, pubblicare e distribuire tale contenuto. Tale licenza ha il solo scopo di far funzionare, sviluppare, fornire, promuovere e migliorare i Servizi nonché di ricercarne e svilupparne di nuovi.
Poiché i Contenuti Pubblici sono per loro natura pubblici, nonché di interesse pubblico, la licenza da te concessa per tali contenuti è più ampia. Oltre a concederci i diritti citati nel precedente paragrafo, ci concedi anche una licenza perpetua di creare opere derivate da, promuovere, esporre, trasmettere, cedere a pagamento, concedere in sublicenza, rappresentare pubblicamente ed esporre pubblicamente i Contenuti Pubblici in qualsiasi forma, su qualsiasi canale mediatico e con qualsiasi metodo di distribuzione (siano essi attualmente noti o successivamente sviluppati). Nella misura in cui è necessario, quando appari in, crei, carichi, pubblichi o invii Contenuti Pubblici, concedi a Snap Inc., alle sue consociate e ai suoi partner commerciali diritto e licenza illimitati, validi a livello mondiale e perpetui all'utilizzo del tuo nome, sembianza e voce, inclusi quando connessi ad un contenuto commerciale o sponsorizzato.

Concludendo questa prima parte dell'articolo, credo che:

  1. creare una storia del genere partendo da un tweet, senza neppure verificarne l'esattezza, è segno di incompetenza
  2. insistere sul dubbio che FaceApp in qualche modo vada a ledere i diritti della nostra privacy è.... ridicolo. Sì, la penso così e vi racconto perché.

NOTA: nel frattempo, il fondatore di FaceApp ha risposto alle "accuse" sulla privacy, specificando che.... sono tutte caxxate (ho sintetizzato in una parola quanto scritto qui)

Perché penso che sia ridicolo porsi il problema privacy su FaceApp?

Il ragionamento si basa su alcune considerazioni. Innanzitutto oggi, nell'era del Web, dei Social Network, del "tutto connesso", una delle attività che abbiamo imparato a svolgere più velocemente e più frequentemente è quella della "condivisione".

Condividiamo messaggi, foto, video, idee, emozioni: chi per affetto, chi per narcisismo, chi per senso di affermazione, chi per business, e così via.

E "condivisione" è un termine che non va d'accordo con "privacy": più condividiamo, meno privacy abbiamo, o comunque più difficile e articolato ne diventa il controllo.

Aggiungiamo un altro ingrediente: il numero dei dispositivi, smartphone in particolare, è diventato quasi 1:1. E questo ha cambiato i nostri comportamenti. Prendiamo ad esempio le fotografie, visto che sono l'oggetto di FaceApp: oggi, durante una giornata, quante volte veniamo fotografati?

Da uno smartphone, da un a fotocamera, da una dashcam, ecc.

Siamo ad un concerto: tra le migliaia di foto effettuate, certamente in alcune ci saremo anche noi. Quella foto è nello smartphone di qualcuno, in automatico sarà caricata su un cloud, molto probabilmente sarà poi condivisa su almeno un paio di social network.

E noi non possiamo farci niente. Non possiamo dire "no".

Tutti i siti e le applicazioni che trattano "foto", hanno indicato nei loro termini di servizio, una serie di capoversi che in sostanza dicono: "con le tue foto possiamo fare quello che ci pare e tu non devi romperci!".

Quando lanciai la mia startup Loveyourpix - un social network per fotografi basato proprio sulle immagini - le nostre Terms & Conditions furono stilate da uno studio legale specializzato, ma che in definitiva dicevano la stessa cosa.

Tra l'altro, diciamocela tutta: ma chi è che legge le condizioni di servizio di una applicazione? Certo è una cattiva abitudine, perché andrebbe fatto. Ma alla fine, solo gli "addetti ai lavori" vanno a vedere certi particolari, per poi scoprire che - molto spesso - sono simili tra loro.

Il fatto che internet abbia reso i dati "immateriali", senza "fissa dimora" e possibilità di effettivo controllo (tu chiedi ad un provider di cancellare i tuoi dati: come fai ad esserne certo che ciò avvenga?) ci porta oggi verso due punti:

  1. Dobbiamo fidarci. L'alternativa è il rischio sospettare di tutto e tutti, con il risultato comunque non trovare una soluzione.
  2. Dobbiamo imparare a gestire meglio possibile le informazioni che ci riguardano, nella nuova era digitale.

Chi oggi si occupa di Open Source Intelligence (OSINT) - attività che studia e raccoglie le informazioni pubbliche delle persone - conosce la quantità di dati e tracce che lasciamo ogni minuto.

Io credo che abbiamo in qualche modo già rinunciato ad una parte della nostra privacy per poterci connettere a questo nuovo mondo.

Perché, allora, creare "allarmismi" di questo tipo per FaceApp?

C'è bisogno di questo per scrivere articoli affinché vengano letti da più utenti?

Preferirei una informazione più analitica, meno sensazionalistica, più ragionata.

Il tema della Privacy, oggi, deve essere affrontato con metodi diversi, perché il contesto è completamente cambiato.

Usare la "paura" come strumento per attrarre lettori è a mio avviso sbagliato: si creano "mostri", timore verso le nuove tecnologie, con il risultato che l'utente abbandona una strada per prenderne un'altra, ma senza aver compreso esattamente quali siano i meccanismi.

Questo è quello che non mi piace di molti media italiani quando riportano notizie di questo genere: pochi - pochissimi dati - tesi sostenute su "sentito dire" ed un linguaggio che mette sul "chi va la" il lettore.

Questi fenomeni (come FaceApp) possono essere spiegati diversamente.

Beh, a questo punto, mi piacerebbe sapere cosa ne pensate.