Il 10 Marzo 2019 un Boeing 737-8MAX con 157 persone a bordo, tra passeggeri e personale dell’equipaggio, si è schiantato dopo appena 7 minuti dal decollo, a circa 28 miglia sud est dal Addis Ababa Bole International Airport.

Una tragedia. Ovviamente nessun superstite.  

Alcune settimane fa le autorità etiopi hanno pubblicato il Preliminary Report, ovvero il documento che raccoglie i dati disponibili e ricostruisce quanto accaduto.Non vengono tratte conclusioni, ma solo descritti i fatti. E’, appunto, un report preliminare.

Una premessa importante: perché scrivere di una tragedia del genere?

Quando ho letto il report, supportato anche dall’ottimo video di Oneira che vi consiglio di vedere, la prima sensazione è stata di paura. Gli aerei sono il mezzo di trasporto più sicuro al mondo, ma quando c’è un incidente la nostra attenzione viene catturata, considerato che di solito la quantità di vittime è ingente.  

Ma, statistiche alla mano, è nulla confronto alle morti in automobile: solo in Italia, ad esempio, nel 2017 ci sono state più di 9 vittime al giorno. Sì, ogni giorno (3379 nell’anno, per la precisione).

Ma torniamo alla questione principale. Rileggendo con più calma il Preliminary Report e approfondendo alcuni punti, ci sono 3 aspetti che ho elaborato e che voglio condividere.  

Sono considerazioni che partono da una lettura asettica del report per arrivare a pormi domande  inerenti il mondo del business e più specificatamente al rapporto uomo-macchina. Consapevole del fatto che questi parallelismi possono essere considerati cinici, ribadisco il massimo rispetto per le vittime di questa tragedia, sperando che questo esercizio venga preso per quello che è, ovvero una sana e aperta riflessione che prende spunto dai dati che abbiamo a disposizione.

Detto questo, iniziamo.

Primo punto: l’età non è un indicatore di affidabilità.

Si apprende dal Report che il pilota del 737 MAX aveva 29 anni, mentre il copilota 25. Ho avuto modo di leggere su alcuni social delle rimostranze in merito, in particolare dovute al fatto che un aeromobile del genere non potesse essere pilotato da due ufficiali così giovani.  

Analizzando nel dettaglio l’esperienza maturata dei piloti, possiamo vedere come il comandante avesse più di 8000 ore di volo, di cui più di 1500 su 737: questo significa aver utilizzato quasi al massimo le ore di volo disponibili ogni anno. Il copilota 361 ore e tutti i requisiti formativi per portare un mezzo del genere.

E’ quindi fondamentalmente errato pensare che il livello di responsabilità sia in funzione dell’età, ma - come in questo caso - deve essere correlato all’esperienza maturata ed al livello di studio e formazione.  

Questo è un aspetto che interessa anche il mondo del lavoro, soprattutto negli ambiti più “tech” dove i “Millennials” possono (e potranno) esprimere il loro potenziale esplosivo solo se imprenditori ed organizzazioni saranno pronte ad integrarli.  Perché l’età in questo caso è un vantaggio, ma che a volte non viene visto come tale oppure non si è capaci di gestirlo. Le nuove generazioni hanno bisogni diversi, abitudini diverse, velocità diverse e le organizzazioni - grandi o piccole che siano - devono adeguarsi per creare un ambiente capace di sviluppare queste nuove competenze.

Quante imprese hanno personale di 25/30 anni alla guida di un reparto o dell’intera azienda? A vent’anni, si può pilotare un aeromobile, ricordiamocelo.  

Punto secondo: il rapporto uomo - macchina

Le nuove tecnologie che accompagnano la digitalizzazione delle nostre vite e di conseguenza di tutte le attività lavorative, ci portano inevitabilmente ad una sempre maggiore interazione con strumenti digitali.  Negli ultimi anni, l’avvento di tecnologie di Intelligenza Artificiale, ha permesso alle macchine di iniziare a compiere azioni in modalità (semi)automatica, togliendo così un ulteriore compito all’uomo.

Sia chiaro, sono fermamente convinto che siamo solo all’inizio e che oggi, più che di Intelligenza Artificiale - termine spesso abusato per azioni di marketing - si debba parlare di Machine Learning, che in sostanza è lo step “precursore” per poi arrivare alla AI.

Questi sistemi però devono andare di pari passo con soluzioni di controllo che possano essere governate dall'uomo. Se leggiamo cosa è successo in quei 7 maledetti minuti subito dopo il decollo del 737 MAX, vediamo che i piloti hanno più volte dovuto correggere un comportamento errato e automatico che il sistema di bordo impartiva ai comandi.

At 05:43:11, about 32 seconds before the end of the recording, at approximately 13,4002 ft, two momentary manual electric trim inputs are recorded in the ANU direction. The stabilizer moved in the ANU direction from 2.1 units to 2.3 units.  
At 05:43:20, approximately five seconds after the last manual electric trim input, an AND automatic trim command occurred and the stabilizer moved in the AND direction from 2.3 to 1.0 unit in approximately 5 seconds. The aircraft began pitching nose down. Additional simultaneous aft column force was applied, but the nose down pitch continues, eventually reaching 40° nose down. The stabilizer position varied between 1.1 and 0.8 units for the remainder of the recording

Non sappiamo ora quale sia stata la causa. Il punto però è un altro: partendo dal presupposto che non esistono sistemi sicuri al 100% e che quindi c’è sempre un compromesso tra sicurezza e vulnerabilità, dove porre questa linea di confine?

Certamente nel caso in questione, questa linea è posta più in alto possibile, ovvero si cerca ci progettare aeromobili che siano il più sicuri possibile: quello che è successo è un’eccezione che - probabilmente - una volta analizzata andrà ad innalzare ulteriormente l’asticella della sicurezza.

Ma non è sempre così. Nelle aziende, nel mondo del business, cosa accade? Quanto viene investito in sicurezza (informatica, nello specifico)? Poco, molto poco. Eppure le aziende sono anch’esse spesso sistemi complessi.

Probabilmente il paragone può sembrare azzardato: una azienda “non vola” e non “trasporta” centinaia di persone. Certo. Ma sempre più le aziende hanno reparti produttivi - connessi ad una rete - nei quali operano decine o centinaia di persone.

Se questi reparti non vengono protetti a sufficienza, domani possono diventare pericolosi, molto.

Mentre siamo abituati a pensare (giustamente!) che un incidente informatico nei sistemi IT di una realtà lavorativa porti un danno alle informazioni e perdita dei dati, nell’era dell’Internet Of Things, può portare danni fisici alle persone ed alle cose.

Il rapporto che abbiamo con i dispositivi digitali deve essere governato, altrimenti il rischio è quello di usare macchine (vulnerabili) che possono diventare pericolose, nel vero senso della parola.

Punto terzo: le check list

Un altro aspetto che mi ha colpito leggendo il report, sono le sequenze di comandi che i due ufficiali eseguono appena riscontrano i primi problemi. Sono le così dette check list: liste di azioni predefinite che i piloti devono seguire durante le procedure standard o di emergenza. Seguire una check list è una modalità di lavoro che porta molti vantaggi:

  1. le check list vengono redatte da team competenti e continuamente aggiornate in funzione degli eventi
  2. seguire una check list diminuisce di molto la possibilità che l’operatore possa scegliere autonomamente durante un evento critico, dove il fattore tempo è spesso cruciale
  3. le check list raccolgono informazioni spesso eterogenee e le armonizzano, così da poter essere analizzate più velocemente

Molti - oltre all’aviazione - sono gli ambiti dove le check list vengono utilizzate: in azienda, averle a supporto del personale in caso di incidente informatico può essere un fattore vincente.

Se redatte in modo snello, permettono agli utilizzatori di “muoversi” e rispondere a situazioni impreviste, velocemente e senza panico.

Ovviamente poi le check list possono essere utilizzate anche per supportare normali procedure e flussi di lavoro, come ad esempio.... “Scrivere una newsletter” :-)

Qual’è la tua check list?

A sabato prossimo!

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